Cinema e crisi economica: l’italia reagisce

IL CINEMA ITALIANO AI TEMPI DELLA CRISI, DAL DOPOGUERRA ALLA RECESSIONE DEI GIORNI NOSTRI

C’è chi vuole lasciarla e c’è chi non riesce a staccarsi da lei: l’Italia, “un paradiso abitato da diavoli”, materia prima di assoluto prestigio ma c’è negligenza nel lavorarla. Se poi si attraversa una delle crisi peggiori della storia dell’Occidente, le cose si complicano ulteriormente perché niente funziona come dovrebbe. Natalia Ginzburg sosteneva che in Inghilterra il sistema funziona meglio, le cose vanno meglio, dunque si vive meglio, ma quando si cammina per le strade d’Italia si percepisce una «vibrante intelligenza» che manca altrove. Questa osservazione ci servirà da spunto per una riflessione sulla capacità di ripresa del nostro settore cinematografico sotto austerità.

È interessante notare come, in tempi di pesantissima crisi, il cinema italiano si è sempre mantenuto vivo e anzi, si è dimostrato rivoluzionario. Una breve retrospettiva della storia del Novecento ci porta a pensare alla grande stagione cinematografica del Neorealismo (convenzionalmente aperta nel 1945 e chiusa nel 1952), divenuta la più innovativa a livello di linguaggio, stile e tecnica che la settima arte abbia mai conosciuto. Maestri della corrente come Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Mario Soldati, Roberto Rossellini e Alberto Lattuada hanno saputo realizzare veri e propri capolavori in un’epoca in cui il Paese era in ginocchio, era da ricostruire.

Un’epoca difficile venuta dopo una guerra persa che ha avuto terribili ripercussioni sull’economia italiana. Un tempo che non poteva offrire niente a chi lo viveva, tranne forse, il grande cinema. Il mito del Neorealismo consiste proprio in questo: con tutte le sue falle e i suoi falsi storici, è però un dato di fatto che i suoi autori realizzavano film a basso costo, con location scenografate al minimo, con mezzi più o meno ridotti, con attori spesso non professionisti. Non si trattava di cinema dello sfarzo, non erano grandi produzioni, eppure era un cinema “vivo” e amato.

Ora, ai tempi della Recessione, eccoci di nuovo senza fondi e con poche possibilità espressive in campo cinematografico. La storia, per una volta, si ripete in senso positivo poiché ora come allora, i nostri autori raccolgono i pochi mezzi che hanno e li sfruttano al meglio, li fanno esplodere per noi che abbiamo sempre bisogno di grandi emozioni audiovisive. Certo, il sistema non aiuta: in seguito a una serie di riforme, i fondi pubblici sono venuti meno e in Italia mancano alternative a questo tipo di finanziamento. L’unica via d’uscita è dunque rimboccarsi le maniche e ingegnarsi.

Gruppi come My Self, The Coproducers, Zerobudget e Ring fanno di necessità virtù, non si lamentano e non chiedono aiuto gratuito, sono abituati a farcela con le loro forze. Fare a meno dei fondi pubblici è diventata una necessità ma è anche l’occasione per essere originali e creativi e avere il totale controllo sull’opera, senza che le regole del mercato entrino nel merito in nessuno modo. Personalità come Saverio Costanzo, Emanuele Crialese, Alessandro Piva e Daniele Gaglianone sono ottimi esempi di questo cinema che «malgrado la situazione produttiva e distributiva arrivata al livello più basso, non è mai stato così vitale».

Vivremo anche in un Paese sconclusionato, che ha sempre qualche grossa questione da risolvere, che viene considerato per certi versi arretrato rispetto al resto del continente ma che è abitato da persone forti, determinate e soprattutto, propense alla reazione. Il cinema del terzo millennio sfrutta tutta l’intelligenza vibrante di cui parlava Ginzburg, non a caso, una delle nostre scrittrici più brillanti.

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