GARRONE APPRODA AL FANTASY CON LA CONSAPEVOLEZZA DI UN PITTORE
Un cuore di drago palpitante, rosso fuoco, sbranato da una triste regina. Una pulce gigante a rallegrare un re solitario, nani, saltimbanchi e acrobati, vecchie con voci sublimi e strane creature nel bosco. E’ una grande scommessa quella di Matteo Garrone. Il regista sbarca nello stesso giorno, il 14 maggio, sia a Cannes che nelle sale con un fantasy italiano nella sua essenza ma internazionale per cast tecnico e artistico. Effetti speciali, grandi ambientazioni da fiaba, costumi d’epoca, atmosfere magiche. Tutto questo, in stile Garrone, assolutamente carnale e fortemente connesso alla realtà.
Il racconto dei racconti è stato scritto ispirandosi a tre delle cinquanta fiabe della raccolta Il Cunto de li cunti, scritte in lingua napoletana da Giambattista Basile nel ‘600 (pubblicata nel 1634 e 1636). Da Basile, Garrone prende l’ispirazione popolare, fisica e sanguigna. “Quando ho letto Basile mi ha colpito moltissimo la sua modernità, originalità, ricchezza visiva, i suoi personaggi pazzeschi. L’ho sentito subito estremamente familiare e così mi sono messo in questo guaio” ha raccontato con un pizzico di ironia il regista, spiegando che scegliere di fare fantasy in Italia è una scelta masochistica, ma che in questo caso è stata la naturale evoluzione del suo percorso artistico.
Se pensiamo infatti a L’imbalsamatore c’è già il grottesco (poteva essere, quella storia di cronaca nera, un racconto di Basile), l’ossessione fisica è in Primo Amore, la violenza senza limiti in Gomorra, e qualcosa di fortemente fiabesco seppur nei toni del kitch assoluto c’è in Reality. Garrone approda quindi al fantasy con grande consapevolezza e forte del suo talento pittorico. Quasi ogni inquadratura appare come un quadro, dai colori forti, con segni che arrivano da mondi lontani. I volti e le interpretazioni di Salma Hayek, Johnn C.Reilly, Vincent Cassel e Toby Jones rendono il fantasy di alto livello, ma quello che colpisce di più è come Matteo Garrone sia riuscito nell’impresa di proporre un film di genere che per forza di cose si confronta con grandi blockbuster, mantenendo un gusto e un sapore fortemente personali.
Ci sono, in queste tre storie, grandi domande sull’umanità e sentimenti universali, paure e desideri, vita e morte. Il desiderio è di certo la guida di ogni azione di questi personaggi dai tratti grotteschi. Un desiderio vivo, forte, che li rende vivi e veri. E se, come racconta lo stesso Garrone, produttivamente è stata di certo una grande sfida (12 milioni di euro di budget per una coproduzione Italia-Francia-Inghilterra), e sul set non ha potuto, come nel suo stile, tenere la macchina a mano ed anzi ha subito la frustrazione di non “avere il controllo dell’immagine” (poiché molti effetti sono stati realizzati ovviamente in post produzione), Garrone è riuscito nell’intento di rapire lo spettatore, farlo entrare in empatia con molti dei suoi protagonisti, trasportandolo nei sentieri di antiche paure e grandi azioni di coraggio.
Ci sono il sogno, l’avventura, l’amore, la vendetta e il perdono, corpi meravigliosi ed altri orrendi, il bene e il male che si mescolano fino a confondersi. Il regista ha detto che per lui la vera vittoria sarà se il film andrà bene nelle sale, al di là di Cannes. E c’è da sperarlo, perché sarebbe una bella vittoria per il cinema di qualità, per alzare l’asticella del gusto nei grandi numeri. Ed io che non amo il fantasy, mi sono divertita, a tratti inquietata, ed ho amato la voce di Salma Hayek che nel labirinto chiamava ripetutamente: “Eljas, Eljas… Eljas” , il nome del mio secondogenito!