Margin call: recensione film

CONCEPT INTRIGANTE, MA RESA SUPERFICIALE NONOSTANTE UN GRANDE SPACEY

Pensate alla la crisi economica per un momento. Milioni di licenziati e ancora più gente del solito che fatica ad arrivare a fine mese. E gli squali in questo paesaggio desolato diventano più spietati e affamati.  Ma come siamo arrivati a tutto questo, quando oggi abbiamo tecnologie che riescono a prevedere più o meno tutto?

Basta partire da quella notte. Quella notte in cui qualcuno è riuscito a vedere bene i calcoli davanti a sé e ha visto finalmente che qualche cifra non andava. È quello che è successo a Peter Sullivan (Zachary Quinto), impiegato di un’azienda multimiliardaria, rimasto una sera a lavoro per approfondire quel lavoro lasciato in sospeso dal capo dipartimento appena licenziato. Lentamente intorno a lui si riunisce l’elite dell’azienda a discutere e a domandarsi come fare prima che la loro crisi si estenda a tutta la nazione e al mondo.

L’esordiente J.C. Chandor riesce a confezionare un thriller economico-informatico riuscendo a impartire allo spettatore concetti che nella vita quotidiana neanche attraverso la lettura di giornali e wikipedia riuscirebbe a capire. E soprattutto nella prima metà della pellicola coinvolge, puntando anche su un cast che comprende grandi nomi su cui spiccano ovviamente i grandi Kevin Spacey e Jeremy Irons, come sempre viscido e bastardo ‘villain’, in questo caso lo squalo di cui parlavamo sopra.

Ma non tutto funziona a meraviglia. Si avverte ben presto che non c’è un talento della sceneggiatura come Sorkin (“The Social Network”) a sobbarcarsi il peso di quest’impresa; infatti manca una maggiore esplorazione dei drammi interiori dei personaggi che nonostante lo sforzo degli interpreti rimangono in superficie. Perfino la critica che ci auspicheremmo rimane fin troppo velata. E non basta il monologo apparentemente aspro, ma in realtà abbastanza “qualunquista” del personaggio di Paul Bettany sul capitalismo a farci cambiare idea.

Nonostante le ottime premesse “Margin call” resta un film didascalico e troppo politicamente corretto per dare scossoni allo spettatore. Si tratta comunque di un’intrigante lezione di storia realizzata con stile, ma forse a questo punto era meglio fare un documentario, sulla scia di “Inside Job”, che a detta di molti rimane più emozionante e, se vogliamo, terrorizzante.

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