Gabriele Tinti: il poeta amico di Kevin Spacey

IL NOSTRO MICHELE DIOMÀ A CONFRONTO CON IL POETA GABRIELE TINTI, CHE RACCONTA DEL SUO RAPPORTO CON L’ATTORE KEVIN SPACEY

gabriele tintiI componimenti di Gabriele Tinti sono stati letti dall’attore premio Oscar Kevin Spacey e più di recente dal leggendario protagonista di “A Clockwork Orange” Malcolm McDowell. Un poeta capace di unire le culture in nome della bellezza del pensiero. Quando ho incontrato Gabriele ho avuto l’immediata percezione di trovarmi davanti una personalità capace di sognare e quindi progettare senza confini, amiamo entrambi New York ed in qualche modo ogni giorno proviamo a costruire la nostra “testimonianza” senza accettare di starcene nel recinto del provincialismo. In futuro, forse, realizzeremo qualcosa di simile a un film insieme!

1) Caro Gabriele viviamo una stagione della comunicazione nella quale prevalgono titoli roboanti seguiti da articoli poveri di contenuti, uno scenario non favorevole alla poesia, che richiede letture approfondite seguite da riflessioni, come vedi oggi la tua condizione di poeta in rapporto con un mondo così fatuo?

La mia scrittura è monologo. Nasce da quel vicolo cieco che è l’inconscio. Più che attorno a me guardo all’accumulo che ho in me. E in questo senso la vita rimane il naufragio, la caduta di sempre. Perché è nel rischio della sofferenza, in quell’avventura crudele, che si genera la poesia. Il vero scrittore non dovrebbe avere bisogno di nulla. D’altro canto però hai ragione: il mondo che ci circonda, quello della comunicazione, della cultura in genere, è sempre più deprimente e superficiale. Risulta complicato trovare un committente all’antica, un qualche interlocutore. E questo è un male.

2) In alcuni casi il cinema si è nutrito dell’apporto creativo dei poeti, come nel felice sodalizio tra Tonino Guerra e Federico Fellini, hai mai pensato di partecipare attraverso la tua scrittura ad un film?

Il cinema è una delle maggiori imprese oggi, la grande avventura dell’arte. Non ti nascondo che mi piacerebbe molto farne parte ma sono consapevole di non esserne capace. La mia scrittura non possiede la narrazione necessaria per farsi cinema. È lamento, epigramma, elegia, frammento. Sarei costretto a diventare qualcun altro. Mi vedrei forse più nei panni di un regista che di uno sceneggiatore ma non riuscirei a fare i conti con tutto ciò (tecnologie, materiali, relazioni, persone etc…) di cui ha bisogno un film.

3) La scorsa estate hai avuto un’improvvisa popolarità internazionale, dal New York Times ad Hollywood Reporter, tutti i principali giornali al mondo hanno parlato di te, riportando la notizia del ritorno sulla scena pubblica dell’attore premio Oscar Kevin Spacey in quanto declamatore di un tuo testo, come sei entrato in contatto con il protagonista di House of Cards?

Ho mandato lui le mie poesie con poche speranze di riuscire e invece, tra le migliaia di proposte che riceve ogni giorno, s’è innamorato proprio dei miei testi. È curioso quanto accaduto perché il mio lavoro è sempre lo stesso da anni. Prima di Spacey avevo collaborato con altri attori importanti ma naturalmente sono consapevole che quello che abbiamo fatto assieme è stato speciale, proprio perché lui incarnava – incarna tutt’ora – la figura del capro espiatorio. D’altronde la mia scrittura è dramma e, come sai, una delle interpretazioni del termine tragedia è proprio quella di “canto per un capro”, per una vittima, canto della violenza dei rapporti umani. Questa mobilitazione conformista contro Spacey che in fondo, come direbbe René Girard, è la “vittima in un fenomeno di contagio mimetico” non è cosa nuova. Il fatto che abbia letto proprio lui che sta vivendo questa situazione il mio “Pugile” è stato emozionante. Si è realizzata una profonda coincidenza tra vita e poesia. Ed è cosa rara. Nonostante ciò – ti ricordi, ne parlammo a Roma assieme – le prime pagine hanno riportato soltanto banalità dovute alle direttive dei vari direttori dei giornali.

4) Benedetto Croce diceva :”Fino ai 18 anni tutti scrivono poesie, dopo tale età, soltanto due categorie di persone continuano a scriverne, i poeti ed i cretini”, ti sei mai sentito schernito nel dichiararti poeta?

Credo di avere il buon senso e l’umiltà di lasciare che siano gli altri a nominarmi. Naturalmente tutto nasce dal fatto che devi essere tu il primo a chiamare te stesso in un certo modo. Che tu sia poeta o artista o regista devi credere in quello che fai. E questa fede è sempre tragicomica, esposta allo scherno. In ogni caso quello che posso dirti con certezza è che io scrivo e che il mio è un rapporto fondamentalmente ossessivo con le parole. Scrivo appena mi alzo, penso a quello che scriverò il giorno dopo prima di addormentarmi. La poesia non è un esercizio, non è un compito, non si impara nelle scuole o all’università. Mi fanno tenerezza tutti quei circoli di “poeti” raccolti attorno ad un docente – anch’egli presunto “poeta” – dell’università. La poesia è una dannazione, una condanna e al contempo una liberazione sublime.

5) I 5 film della tua vita? 

Non sono mai stato bravo a far classifiche né selezioni. Quelli che mi vengono in mente al volo e per ragioni diverse:

-Fat City di John Huston
-Orphée di Jean Cocteau
-Oedipus Rex di Pier Paolo Pasolini
-The Addiction di Abel Ferrara

…mi trovi indeciso sul quinto…mettili entrambi se puoi:
After Hours di Martin Scorsese e A Clockwork Orange di Kubrick.

 

A cura di Michele Diomà