Wonder Woman 1984: recensione

WONDER WOMAN 1984 CONFUSA E FELICE: SPETTACOLO PER GLI OCCHI SOFFOCATO DA UNA TRAMA INCOERENTE

WW84 posterDURATA: 151 minuti

USCITA: 25 dicembre 2020

VOTO: 3 su 5

Il sequel di Wonder Woman è il classico film su un supereroe, nel bene e nel male. Un grande spettacolo visivo, una protagonista che faccia da modello d’ispirazione, una lezione da impartire e una sceneggiatura fiacca. Lo spunto si potrebbe dire preso in prestito dalla lampada di Aladino o, come suggerito nel film stesso, dalla Zampa di Scimmia.

Una pietra magica (Dreamstone) forgiata da un dio ingannevole è in grado di esaudire i desideri delle persone, ma con un alto prezzo da pagare. Perché c’è sempre un prezzo da pagare. Per Wonder Woman (Gal Gadot) riavere accanto a sé il pilota d’aviazione Steve Trevor (Chris Pine), il suo grande amore, vuol dire gradualmente perdere forza e poteri. Fin qui tutto bene, ogni film di fantasia ha diritto a stabilire le sue regole, purchè poi le segua. Invece le regole dei desideri non sono troppo chiare, né troppo rispettate, ed è qui che la sceneggiatura finisce per rovinare un film altrimenti gradevole. I desideri fanno apparire le cose dal nulla, come ad esempio le testate nucleari, ma per Steve tornare in vita vuol dire assumere il corpo di un altro essere umano. Come l’invasione degli Ultracorpi. Viene stabilito che ogni persona ha diritto ad un solo desiderio, ma c’è chi riesce ad esprimerne più d’uno. Chi rinunciando al proprio desiderio riporta le cose come erano prima e chi forse no (chi muore resuscita?). L’approccio è un po’ ballerino e lascia molto all’intuizione. La trasformazione in Cheetah avviene fuori campo; e chi non ha letto i fumetti? Un aereo da Prima Guerra Mondiale trovato pronto con il serbatoio pieno e in grado di fare la traversata dell’Atlantico. Si potrebbe andare all’infinito, ma è chiara l’idea. Certe cose lasciano molto interdetti.

Evidentemente che un film di queste proporzioni non seguisse neanche la propria logica interna non deve essere importato a nessuno. Tanto c’è Gal Gadot che tira su il film da sola. E in effetti l’attrice di origine israeliana ce la mette tutta, è il personaggio che conta, non l’avventura. Anche Kristen Wiig ottiene campo libero di esprimersi in una vasta gamma di emozioni, dalla nerd goffa e bruttina alla vamp seduttrice, fino alla trasformazione finale.

C’è grande voglia da parte di tutti i coinvolti, in primis la regista Patty Jenkins, di replicare la formula del successo del precedente film, si trova quindi il modo di inserire di nuovo un flashback nelle amazzoni con la protagonista bambina e riavere nel cast Chris Pine. Due elementi forti del primo film. L’ambientazione nel 1984 inizialmente suscita interesse attraverso un montage di centri commerciali pieni, spalline nei vestiti e televisori in 4:3, presto però perde di rilevanza. La vicenda avrebbe potuto svolgersi in qualsiasi epoca che non avrebbe fatto differenza. La morale finale e che la verità trionfa sempre. La verità vi libererà. Lieve presa di posizione politica.

La confezione è di primissimo livello, ma fa irritare il pressapochismo con cui si sviluppa la storia. Ecco, Wonder Woman 1984 è un come un bell’edificio con tutte le finestre illuminate, ma nessuno al suo interno.

 

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