Barriere: recensione

DENZEL WASHINGTON DIRIGE VIOLA DAVIS IN UN IMMENSO DRAMMA PERSONALE

barriere locandinaGENERE: drammatico

DURATA: 138′

USCITA IN SALA: 23 febbraio 2017

VOTO: 3,5 su 5

L’ex promessa del football Troy Maxson (Denzel Washington) lavora come netturbino nella Pittsburgh degli anni ’50, in un’epoca in cui ogni giorno deve lottare contro ingiustizie sociali e suoi i demoni interiori. Indomabile, chiacchierone, Troy ha una moglie, Rose (Viola Davis), due figli di cui non approva le vocazioni. Lyons (Russell Hornsby) suona il jazz, mentre Troy canta il blues. Cory (Javan Adepo) pratica il football, ma suo padre gioca a baseball. Chiuso nel recinto di casa che sta costruendo per Rose, lentamente innalza una barriera anche dentro di sé distruggendo chi gli sta accanto. La sua vita subisce una svolta drammatica quando confessa alla moglie il suo tradimento e le rivela del figlio che ha avuto dalla sua relazione extraconiugale.

È inaccettabile che Denzel Washington non sia stato candidato all’Oscar come miglior regista per Barriere (Fences), perché è stato amore a prima vista tra l’artista poliedrico e l’opera teatrale di August Wilson – da cui è stata tratta la pellicola. Washington custodisce il desiderio di portare al cinema questo progetto fin dal 2013, riuscendo a realizzare, solo dopo alcuni anni, uno dei sogni dello stesso Wilson, che insisteva sul volere un regista afroamericano dietro la macchina da presa. Denzel Washington ci mette anima e corpo nel dirigere Barriere, che più che è un film, è una vera e propria opera teatrale. Basti pensare all’inizio della pellicola, in cui Troy si confronta col suo amico mentre torna a casa, e irrompe nella scena la moglie Rose; lo scambio di battute è eterogeneo, diretto e spiazzante. Lo spettatore ha la sensazione di trovarsi a teatro.

Barriere è un esempio di come la vita irrompe nell’arte, e l’arte irrompe nella vita. La tematica razziale è forte e persistente, e Washington, nelle due ore di film, sembra puntare proprio su questo, così come il confronto generazionale. Il grido di dolore del protagonista viene espresso nel blues, non a caso in quel genere cantato e suonato dagli schiavi afroamericani nelle piantagioni della Cotton Belt; suo figlio Lyons ha un approccio più moderno e intona il blues. Caparbio nelle sue decisioni, Troy costruisce delle barriere sia fisiche che psicologiche, escludendo chiunque si avvicini a lui. A soffrirne maggiormente è di certo la moglie Rose, e solo Viola Davis, splendida nella sua performance disperata, poteva incarnare il ruolo della donna tradita, ma forte che riesce a rialzarsi solamente grazie alla sua straordinaria forza morale.

Barriere nasconde un messaggio poetico di verità universale ed è il titolo a rivelarlo: i muri che ci costruiamo per impedire agli altri di entrare nel nostro mondo, facendo vedere le nostre debolezze, non fanno altro che allontanarci e farci cadere in un abisso di solitudine e disperazione.

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Linguista, aspirante giornalista, amante del cinema, malata di serie tv, in particolare dei crime polizieschi.