Roma Film Fest 2014 – Ghadi: recensione film (Alice nella città)

L’OPERA PRIMA DI AMIN DORA, PORTATRICE DI UNA LUMINOSITÀ CAPACE DI SCALDARE L’ANIMO

Ghadi_2GENERE: dramedy

VOTO: 3 su 5

Nel vivace quartiere di un piccolo villaggio libanese vive Leba, insegnante di musica felicemente sposato con Lara. La coppia ha tre figli, due bambine e un maschietto, ai quali danno tutto l’amore del mondo. Ma il loro figlio, Ghadi, ha la sindrome di Down, e spesso provoca, involontariamente, le ira dei vicini, infastiditi dal suo urlare alla finestra mentre tenta di esprimere la sua passione per il canto. Il rischio è che venga firmata una petizione con la quale il quartiere chieda che il bambino venga trasferito in un istituto adatto a occuparsi della sua situazione.

Il padre non può permettere che ciò accada: decide dunque di far sì che il figlio venga amato e venerato dall’intero vicinato. Per riuscirci, Leba diffonde la voce che il piccolo Ghadi sia in realtà un angelo al quale Dio ha donato un particolare aspetto. La sua confessione immaginaria comincia piano piano ad attecchire, andando col tempo, però, ad assumere dimensioni imprevedibili e difficili da gestire.
Con Ghadi, il regista Amin Dora firma un’opera prima che ha il sapore di una favola delicata e tenera. Protagonista, qui, non è tanto il piccolo angelo che dà nome al film, ma l’amore sconfinato di un padre, disposto a tutto pur di non separarsi dal figlio. La pellicola si esprime in un amabile equilibrio tra commedia familiare e ironica analisi della società: quanto si rivela facile, infatti, ingannare la mente di coloro che vogliono credere perché alla continua ricerca di una fonte di speranza.

Leba, assolutamente in buona fede, si trova a dover fare i conti con una realtà, quella del suo quartiere, facilmente manipolabile facendo leva sui desideri e le debolezze altrui. Nessuno resiste alle promesse di felicità, nemmeno il razionale avvocato del villaggio, dapprima intenzionato ad aprire gli occhi degli abitanti sulle menzogne della famiglia protagonista, poi divenuto il più fervente promotore dei miracoli praticati dal piccolo angelo.

Ma forse, Ghadi, un piccolo angelo lo è davvero: come spiegarsi, altrimenti, le piccole migliorie che ognuno dei suoi vicini ha apportato alla propria esistenza, i gesti di generosità reciproci moltiplicatisi dal nulla, la positività che invade gli animi di tutti al solo apparire del bambino? Con questa sua opera prima, Amin Dora mostra di saper dirigere una vicenda a forte rischio di stereotipi evitando di cadere nella trappola: il suo tocco è leggero e brioso, restando spesso invisibile quando è sufficiente che sia la sceneggiatura a emergere.

Il suo film è un’opera che si potrebbe riassumere con un solo aggettivo: luminosa. Luminosa è la fotografia della pellicola, luminose sono le scene dei miracoli e dell’abbandono fiducioso degli abitanti, luminosi i gesti dei vicini mentre si salutano nelle stradine da cartolina, ma, ancora di più, luminosi sono gli occhi del piccolo Ghadi, da sempre pronto ad aprirsi agli altri in un sorriso pieno di gioia, già di per sé portatore di un miracolo: quello dell’amore incondizionato verso il prossimo.

 

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"Mi piace l'odore del napalm al mattino".